La poesia che segue questa mia riflessione è stupenda. Le parole sottendono un amore vero, o per lo meno: l’Amore come lo intendo io.
Sottendono abbandono all’altro/a, bisogno dell’altro/a per sentirsi completi, un sentimento incondizionato.
L’amore vero, a mio avviso, è sapere di avere al fianco una persona che non muoverà mai un dito, una frase, una sillaba o persino una smorfia col viso contro di te. E non perché tu sia perfetto ma perché il suo amore non glielo permetterebbe, perché il suo amore è sempre lì vigile a che altri sentimenti più bassi, seppur sempre umani, non possano palesarsi o peggio toccarti.
Il suo amore è sempre pronto a proteggerti come il più prezioso dei beni e non guarda torto o ragione, non lo tocca l’orgoglio e tantomeno l’egoismo esso è mosso solo dalla volontà di proteggere quello scrigno in cui è racchiusa la cosa più preziosa “tu”.
E semmai dovessi venire a mancare, non solo per causa di morte, la sua vita non sarà mai più la stessa. Si sentirà sempre incompleto/a, mai più al sicuro, mancherà sempre qualcosa e tutto perderà una parte del suo valore, della sua bellezza. Potrà fare mille altre esperienze, imprese titaniche, avere successo ma niente avrà più lo stesso sapore perché quel sapore che era estasi veniva dal condividerlo con la persona amata.
Se nella vita hai provato questo sentimento così profondo, una volta perso sarà quasi impossibile sostituirlo, cercherai sempre di ricomporlo, là dove sia possibile, altrimenti per il resto della vita proseguirai come un coccio crepato, puoi metterci dentro i liquidi più preziosi ma li perderai strada facendo senza mai avere la possibilità di gustarli appieno.
ELO
“Gli uomini vanno e vengono per le strade della città. Comprano cibi e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso,
ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un poco più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre. E le mani eran quelle
che spezzavano il pane e versavano il vino.
Oggi ancora nel tempo che passa sollevi il lenzuolo
a guardare il suo viso per l’ultima volta.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto,
se hai paura nessuno ti prende la mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tua la città illuminata: la città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.
ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre;
e deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.”
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La poesia è stata scritta da Natalia Ginzburg qualche mese dopo la morte del marito Leone, avvenuta il 5 febbraio 1944 a Regina Coeli, in seguito alle torture alle quali fu sottoposto dai nazi-fascisti.